venerdì 26 febbraio 2010

Note a margine del Motu proprioSummorum Pontificum

di Giuseppe Tondi

E’ noto a tutti l’amore che Benedetto XVI ha per la liturgia.
Da Cardinale lo ricordiamo, fra l’altro, come apprezzato autore di libri di grande successo e diffusione (Introduzione allo spirito della liturgia, Il Dio vicino, ecc.).
Da Papa, volendo promuovere “una riconciliazione interna nel seno della Chiesa”, il 7 luglio del 2007 ci ha donato il Motu proprio “Summorum Pontificum” unitamente alla Lettera di presentazione del Motu proprio indirizzata ai vescovi di tutto il mondo sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970”.
Come è stato osservato (Bux), l’obiettivo “dottrinale” del documento pontificio si può riassumere in tre punti:favorire la riconciliazione interna nella Chiesa; offrire a tutti la possibilità di partecipare alla “forma straordinaria”, considerata un tesoro prezioso da non disperdere; garantire il diritto del popolo di Dio - i sacerdoti, i laici e i gruppi che lo domandano -all'uso della “forma straordinaria”.

Un’attenta lettura congiunta dei documenti pubblicati il 7 luglio del 2007 fuga ogni timore: i due messali (quello promulgato da Giovanni XXIII nel 1962, meglio conosciuto come messa di S. Pio V, e quello promulgato da Paolo VI) non sono in contrasto fra di loro: “non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”.

Il Papa è chiaro: una è la lex orandi della Chiesa cattolica, ma due le sue espressioni. Un solo rito in due usi: ordinario e straordinario. Il messale romano precedente non è mai stato abrogato. Dunque, il Motu proprio affianca l’antico rito al nuovo, non lo sostituisce; esso resta facoltativo, non obbligatorio. Non toglie ma aggiunge, quindi esprime l’unità nella varietà. E’ un arricchimento che deve guarire le ferite causate dalla rottura della comunione e portare alla riconciliazione interna alla Chiesa, superando le interpretazioni del Concilio, che hanno portato a “deformazioni liturgiche al limite del sopportabile”.

A due anni dal Motu proprio non si può ancora tracciare un bilancio, ma alcune linee tendenziali sono già evidenti:
a) il rito antico non richiama solo “anziani nostalgici”, ma soprattutto giovani;
b) crescono sempre più le ordinazioni di sacerdoti che celebrano usando il messale del 1962.
Secondo un recentissimo sondaggio della Doxa, in Italia il 63% dei cattolici praticanti assisterebbe regolarmente (almeno una volta al mese) alla Messa in rito antico se i Vescovi e i parroci applicassero il Motu proprio.
La ricerca, commissionata dall'associazione Paix Liturgique e dal sito Internet "Messa in latino", è stata presentata nel corso del 2° Convegno sul Motu proprio "Summorum Pontificum", svoltosi a Roma dal 16 al 18 ottobre.
L’indagine è stata condotta sugli italiani che si dicono cattolici, il 76% della popolazione. In base ai suoi risultati, solo il 58% dei cattolici italiani ha sentito parlare dell'introduzione della liturgia tradizionale da parte di Benedetto XVI.
Quando informato del Motu proprio, il 71% degli intervistati considera normale che nella propria parrocchia possano essere celebrate entrambe le forme liturgiche, quella ordinaria e quella straordinaria in latino.
Sembra, quindi, prendere consistenza il desiderio che il Papa ha espresso in più occasioni, e cioè che quanti celebrano con l’antico messale dovrebbero celebrare anche col nuovo. Non è un obbligo, per carità, ma un suggerimento anche se molto autorevole.
E’ certamente obbligatorio, invece, il rispetto per entrambi gli usi. Di conseguenza, chi celebra secondo l’uso moderno deve evitare di delegittimare l’altro uso, e viceversa.

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