venerdì 26 febbraio 2010

La questione non è il latino

di Giuseppe Capoccia

Nella Messa antica il sacerdote celebra su un altare sacrificale, rialzato rispetto al piano dei fedeli, in quanto rappresenta il monte Calvario. La posizione tutta nuova dell’altare post-concilio diviene oggi segno di una Messa concepita come riunione della comunità. Il sacerdote, nella Messa antica, non è rivolto con le spalle al popolo, ma sta a capo del “popolo di Dio” e insieme al popolo si rivolge a Dio, rivolge la faccia verso l’Oriente, verso l’altare. Il sacerdote – e soltanto il sacerdote – agisce in persona Christi offrendo il sacrificio all’Eterno Padre. I fedeli sono più in basso in quanto rappresentano, in un certo modo, Maria Santissima e san Giovanni ai piedi della Croce. Tutto è orientato a Dio, per ricordare il rapporto creatura - Creatore. Sull’altare è collocato il Crocifisso, poiché là si rinnova il sacrificio della Croce; vi si trova, in mezzo, il Tabernacolo, sede di Cristo presente realmente sotto le Specie eucaristiche e la cui Presenza, prodotta dalla transustanziazione avvenuta nella consacrazione, è durevole; vi sono le candele accese per significare la Presenza di Cristo luce del mondo; nella pietra dell’altare si conservano le reliquie dei Santi, nostri intercessori presso Dio (Canone Romano), con i quali siamo uniti nella grande comunione dei Santi e della Liturgia celeste. Nella Messa post-conciliare tutto tende a far risaltare la dimensione orizzontale, tutto converge verso la tavola, posta in posizione centrale: il sacerdote è colui che “presiede l’assemblea”. La stessa struttura architettonica delle moderne chiese favorisce l’orizzontalità.

Mentre nella Messa moderna le parti del sacerdote celebrante e del popolo dei fedeli spesso si confondono, nella Messa antica esse restano distinte, perchè la Messa è l'atto di Cristo (Sommo Sacerdote), che lo compie mediante il ministero del sacerdote (che opera in persona Christi). Nella Messa antica rimangono distinti il Confiteor ai piedi dell’altare, l’Agnus Dei, il Domine non sum dignus; la differenziazione tra il sacerdote ed i fedeli ricorre anche nel Canone, almeno tre volte; l’adorazione del Santissimo Sacramento dopo la consacrazione è distinta: il sacerdote si inginocchia appena subito dopo la consacrazione, poi eleva l’ostia consacrata, poi quando la ripone sul corporale si inginocchia di nuovo. È separata la recita del Pater noster, pronunciato dal solo sacerdote, anche se a nome di tutta la Chiesa; ritorna spesso la distinzione nella seconda persona plurale quando il sacerdote si rivolge ai fedeli – come nei frequenti Dominus vobiscum – segno ed espressione dell’unione di Cristo con i fedeli e insieme esortazione al raccoglimento alla presenza di Cristo. Oggi alcuni sacerdoti si esprimono nella prima persona plurale, non consentito neppure dalla nuova Liturgia, quando dicono, ad esempio: “questo nostro sacrificio”, “lavaci, purificaci”; “ci custodisca”; “ci benedica”.

Nella Messa antica la sublime liturgia eucaristica, con le preghiere recitate dal sacerdote a voce sommessa, agevola i fedeli a compiere l’unica azione “ragionevole” davanti al Mistero divino: adorare in silenzio Dio che rinnova il sacrificio del Golgota per la nostra salvezza. Quanta distanza dal clima conviviale (con strette di mano e applausi) del banchetto eucaristico post-conciliare.

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